La Costa d'Avorio diventa colonia francese nel 1893.
La Francia attua una politica di assimilazione della colonia: incentiva la produzione di caffè, cacao e olio di palma da esportazione; nel 1904 la nomina membro della Federazione Francese dell'Africa Occidentale; concede la cittadinanza francese (con l'obbligo di prestare servizio nell'esercito) all'elite intellettuale che aveva iniziato a prendere corpo dal 1930 e, nel 1946, attua una serie di riforme che prevedono, fra l'altro, la possibilità di formare organizzazioni politiche e l'abolizione del lavoro forzato.
L'elite ivoriana manifesta comunque il proprio dissenso contro la discriminazione colonialista tanto che nel 1953, con l'Atto di Riforma d'Oltremare (Loi Cadre), la Francia permette l'elezione, a suffragio universale, di consigli territoriali rafforzando il potere esecutivo locale. Nel 1958 la Costa d'Avorio diventa membro autonomo della Comunità Francese e ottiene l'indipendenza nel 1960.
A guidare la nuova nazione è Felix Houphouet-Boigny (già fondatore del primo sindacato agricolo e fautore dell'integrazione dei lavoratori stranieri) che, una volta al governo, istituisce un partito unico e reprime la libertà di stampa. Il nuovo governo favorisce i coltivatori locali e nel 1979 la Costa d'Avoro (che già era stata la colonia francese più ricca) diventa il più grande produttore di cacao.
Il "governo di ferro" di Houphouet-Boigny porta la nazione a un rapido sviluppo; a differenza di altri stati africani, la popolazione francese non viene cacciata ma incoraggiata a contribuire alla crescita economica del paese. Il governo favorisce anche l'entrata di lavoratori stranieri, in particolare dal confinante Burkina Faso (negli anni '90 sono la maggior parte del 26% di stranieri presenti nel territorio), stanziati in particolare nel nord del paese. Boigny era riuscito a tenere in equilibrio le relazioni fra diverse etnie, garantendo la cittadinanza ivoriana a molte di queste minoranze.
Il governo di Boigny dura 33 anni, fino alla sua morte nel 1993; già dagli anni '80 però si diffonde il malcontento tra la popolazione: oltre agli effetti della recessione mondiale, le forti inondazioni e operazioni indiscriminate di deforestazione, il governo è accusato di ingenti sprechi di denaro (come il titanico sviluppo della capitale Yamoussoukro, villaggio natale del presidente, mentre a Abidjan il crimine sale ) e di corruzione.
Il grande sciopero del 1990 per la democrazia non trova risposta: nel 1993 Boigny dichiara suo successore Henri Konan Bedié. Bediè reprime le opposizioni e continua, di fatto, una dittatura, cercando però di sollevare la nazione dalla crisi economica. Inizia una politica xenofoba e nazionalista, con l'enfatizzazione del concetto di "ivoirité", anche nel tentativo di escludere dalla vita politica eventuali oppositori tra cui il rivale Alassane Ouattara, originario del nord del paese e già Primo Ministro dal 1990 al 1993 sotto Boigny. Le tensioni etniche danno avvio a operazioni sistematiche di discriminazione, soprattutto verso il nord (in gran parte popolato da immigrati di prima e seconda generazione dal Mali e dal Burkina Faso).
Nel 1999 un gruppo di ufficiali guida un colpo di stato, con l'ascesa al potere del generale Robert Guéi. Nel 2000 si tengono le elezioni presidenziali (da cui viene escluso, per le sue origini, Ouattara) e viene eletto Laurent Gbagbo. Il risultato non viene riconosciuto dallo sfidante Guéi che scatena tensioni e scontri nel paese.
Le crescenti violenze portano, nel 2002, a un tentativo di colpo di stato (19 settembre) e allo scoppio di una sanguinosa guerra civile: truppe dell'esercito originarie del nord assaltano Abidjan e l'ex-presidente Guéi viene ucciso. Gbagbo richiede l'intervento dell'esercito francese che manda truppe a presidiare il confine fra il nord e il sud del paese, con l'appoggio delle Nazioni Unite.
A combattere sono l'esercito governativo insieme ai Giovani Patrioti, un gruppo paramilitare allineato col governo e mercenari liberiani contro le Forces Nouvelles (ribelli del nord, FN, già Movimento Patriottico della Costa d'Avorio - MPCI, al capo del quale è Guillaume Soro), mentre francesi e caschi bianchi cercano di frenare il conflitto. Il 17 ottobre 2002 si giunge ad una tregua ma nascono nuovi gruppi ribelli, e i soldati francesi stessi vengono attaccati.
Il 26 gennaio 2003, a Linas-Marcoussis, le diverse fazioni arrivano a un accordo con il presidente Gbagbo, impegnato in un governo di riconciliazione nazionale: è prevista la presenza al governo dell'opposizione a cui viene assegnato il Ministero della Difesa e dell'Interno. Il 4 febbraio scoppiano però rivolte antifrancesi, in supporto a Gbagbo. Il 4 luglio 2003 si arriva alla proclamazione della fine della guerra, ma nel 2004 il governo decide di non rispettare gli accordi di Linas-Marcoussis, reprimendo le proteste nel sangue e cacciando l'opposizione dal governo (ridotto da 44 a soli 15 membri). Anche Soro viene destituito e la guerra civile riprende. Le Nazioni Unite ordinano l'embargo di armi verso tutti i gruppi militari coinvolti, ma le FN rifiutano il disarmo. L'esercito bombarda il nord, in particolare la città di Bouaké, distruggendo anche una base francese; i francesi rispondono distruggendo gli aerei militari governativi e occupando l'aeroporto di Abidjan. I Nuovi Patrioti di Gbagbo attaccano le strade uccidendo diversi cittadini francesi.
Dal 3 al 6 aprile 2005, nell'incontro di Pretoria moderato dal presidente sudafricano Thabo Mbeki, i leader politici ivoriani concordano la cessazione degli scontri e l'immediato disarmo. Vengono indette elezioni per la fine dell'ottobre 2005, ma i ritardi nel disarmo portano al loro annullamento e alla prosecuzione del mandato di Gbagbo.
Solo nel 2006, con la qualificazione della squadra nazionale ivoriana ai mondiali di calcio, le opposte fazioni giungono ad una tregua, mentre le elezioni vengono nuovamente rimandate.
Il 4 marzo 2007 c'è un accordo di pace fra il governo e le Nuove Forze a Ouagabougou, Burkina Faso, e Guillaume Soro è proclamato Primo Ministro: il 16 aprile la zona di confine fra nord e sud presidiata dai caschi bianchi delle Nazioni Unite viene demilitarizzata. Gbagbo e Soro oltrepassano simbolicamente il confine, dando avvio a un concreto disarmo.
Nell'ottobre 2010 vengono finalmente indette nuove elezioni (rimandate per ben 6 volte dal 2005). I principali candidati sono Gbagbo (sostenuto dal Fronte Popolare Ivoriano FPI), Henri Konan Bédié, presidente dal 1993 al 1999, con il partito democratico (PDCI-RDA) e Alessane Ouattara per i Repubblicani (RDR). Ouattara e Bedié, nonostante la rivalità precedente, promettono di appoggiarsi a vicenda nel secondo round di elezioni, in funzione anti-governativa. Le elezioni si svolgono con un primo turno il 31 ottobre 2010, e un secondo il 28 novembre.
Il 2 dicembre la CEI (Commissione Elettorale Indipendente, organo internazionale che monitora lo svolgimento regolare delle elezioni) convalida la vittoria di Ouattara con il 54% di voti e il nuovo governo eletto democraticamente viene riconosciuto dalla comunità internazionale. Immediatamente però Gbagbo dichiara l'invalidità del voto e celebra la vittoria. Si formano due governi. I sostenitori di Ouattara scendono per le strade a festeggiare la vittoria, ma l'esercito di Gbagbo reprime nel sangue le manifestazioni provocando almeno 20 morti. Gbagbo non cede e mantiene il controllo sugli organi governativi, mentre il mondo gli chiede di permettere l'ascesa del primo governo ivoriano democraticamente eletto. Intanto Ouattara è costretto a rifugiarsi in un albergo di Abidjan, difeso dalle truppe delle FN e delle Nazioni Unite. Ha annunciato l'ex-guerrigliero Soro come Primo Ministro. Gli scontri continuano e la minaccia di una nuova guerra civile si fa sempre più reale. A separare i due schieramenti sono solo le forze delle Nazioni Unite, oggetto di intimidazioni da parte di Gbagbo che pretende il loro immediato ritiro.
La diplomazia internazionale cerca di intervenire per trovare una soluzione ma si stima che, all'inizio del 2011, siano già 20.000 gli sfollati verso la vicina Liberia
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Esposizione online dedicata al Museo Indiano di Bologna, a cura di Luca Villa
Marcella Emiliani ha pubblicato una "Storia dell'Isis" in sei puntate sulla rivista svizzera Azione