Somalia

Argomento: Somalia

Diventata indipendente nel 1960, dopo essere stata colonia italiana fino al 1941 e dal 1950 affidata all’Italia come amministrazione fiduciaria, la Repubblica di Somalia adotta un regime parlamentare fino al 1969, quando un gruppo di ufficiali capeggiato dal generale Siad Barre prende il potere, proclamando la propria adesione al socialismo e alleandosi con l'Unione Sovietica. Questa alleanza termina nel 1977 dopo la guerra con l'Etiopia, provocata dall'invasione dell'Ogaden etiope da parte della Somalia. Dopo un tentativo di golpe fallito nel 1980 Barre decreta lo stato d'emergenza e ripristina il Consiglio rivoluzionario supremo. Nel 1991 l'opposizione fonda il CSU (Congresso Somalo Unito), che gode dell'appoggio delle lobby industriali, e destituisce il presidente che fugge dal paese, sostituendolo con Ali Mahdi Mohammed: ma anche quest'ultimo dovrà fuggire in seguito a scontri tra due fazioni del CSU, lasciando la capitale in mano al generale Muhammad Farah Aidid, che comanda l’ala militare del gruppo. Varie milizie e signori della guerra si contendono il controllo del territorio senza riuscire a prendere il sopravvento. Il territorio somalo è composto di "feudi" dove si muovono le varie milizie, che tengono il paese sotto controllo e riscuotono pedaggi. Neanche l’intervento dell’Onu, tra il 1993 e il 1995, migliora la situazione. Dall'inizio della guerra fra le due fazioni centinaia di migliaia tra i morti e coloro che hanno abbandonato il paese. Altri gravi problemi sono poi dettati dai frequenti scontri tra comunità agricole e pastorali per il controllo delle terre e delle fonti d’acqua, un fenomeno presente in tutto il paese. Nel maggio 1991, allo scoppio della guerra civile, le regioni settentrionali del paese si proclamano indipendenti creando lo stato del Somaliland, ex colonia britannica, pur senza il riconoscimento della comunità internazionale. Nel resto del paese le fazioni si raggruppano nella coalizione Alleanza per la Salvezza Somala e nella ASN guidata da Aidid e si autoproclamano entrambe alla guida del governo. Aidid muore nel 1996 e gli succede il figlio Hussein.

Nell'agosto del 2000 una conferenza di riconciliazione nazionale tenutasi nel confinante Djbouti elegge come presidente del governo di transizione nazionale Abdulqasim Salad Hassan, già ministro del regime di Barre, con sede a Baidoa. Ma fin dall'inizio questi deve affrontare la dura resistenza di vari gruppi armati, soprattutto dell'Esercito di Resistenza degli Rahanwein (RRA), guidato da Hassan Mohamed Nur, appoggiato dalla vicina Etiopia. Il governo è presieduto da Ali Mohamed Ghedi e comprende numerosi signori della guerra.

Unica autorità internazionalmente riconosciuta in Somalia, il governo di transizione nazionale non riesce ancora a controllare i capi delle varie fazioni e le loro milizie poderosamente armate, né a risolvere il problema della siccità, ed esercita la propria autorità solo su alcuni quartieri della capitale.

A partire dai primi anni ’90 emergono le Corti islamiche, basate sulla sharia, che come milizie popolari svolgono funzioni di polizia, diventando l’unico punto di riferimento per la popolazione, amministrando la giustizia civile sulla base del diritto islamico e fornendo servizi sociali nel settore scolastico e sanitario; all’interno delle Corti sono presenti ali più moderate ed altre tendenti al radicalismo.

Nel gennaio 2005 le istituzioni di transizione si accordano per organizzare le prime sedute parlamentari in territorio somalo. In precedenza infatti le uniche riunioni del Parlamento si erano tenute a Nairobi per questioni di sicurezza, mentre all'arrivo in Somalia le istituzioni si erano spaccate sulla scelta della città che avrebbe dovuto ospitarle: mentre la maggior parte del governo e del Parlamento si riuniva infatti nella città di Johwar, un centinaio di deputati "frondisti" decidevano di boicottare l'assemblea e recarsi nella capitale Mogadiscio, ritenuta dal Presidente Yusuf ancora troppo pericolosa. Uno stallo che si è protratto per circa un anno, a dimostrazione di come sia difficile mettere d'accordo un Parlamento che conta circa 600 deputati, in larga parte composti da capiclan e ex-signori della guerra.

A partire dagli inizi del 2006 le varie Corti islamiche si riuniscono dando vita all’Unione delle Corti islamiche.

Nel frattempo le istituzioni somale continuano a non avere il controllo del territorio. Le varie milizie sono ancora sotto i signori della guerra, e il progetto di creare un esercito nazionale è in alto mare. L'Unione Africana ha in progetto di inviare nel Paese un contingente di peacekeepers per aiutare il governo a controllare almeno la zona attorno a Mogadiscio, ma l'arrivo dei "berretti verdi" africani non è ben visto da una parte del Parlamento. Intanto, gli scontri continuano, e nel Paese si registrano decine di morti ogni settimana.

Le milizie armate protagoniste degli scontri nel Paese hanno dislocato le proprie truppe su posizioni strategiche utili per il controllo di Mogadiscio. Nel mese di aprile del 2006 sono morte in seguito a scontri almeno 90 persone, facenti parte sia delle milizie filo-islamiche sia di quelle legate alla Coalizione Anti-terrorismo di Mogadiscio. La tensione nella città è a livelli molto alti. Armi e munizioni sono accatastate dappertutto, anche nelle proprietà private dei residenti.

Nel giugno del 2006 le Corti islamiche conquistano Mogadiscio : fondate e finanziate da uomini d’affari negli anni Novanta, con lo scopo di combattere il banditismo e l’impunità delle fazioni armate e riportare ordine nella capitale, dal febbraio scorso le Corti si sono scontrate con una parte dei cosiddetti "signori della guerra": in cinque mesi i combattimenti hanno provocato oltre 300 morti e circa 17.000 sfollati.

L’avvento delle Corti islamiche e il consenso che hanno trovato non va interpretato come frutto del fanatismo religioso, piuttosto come volontà di uscire dalla perdurante situazione d’insicurezza e oppressione, determinate dai signori della guerra da una parte, dall’altra la percezione che la politica americana nel paese sia caratterizzata non tanto da una chiara volontà di ricostruire la nazione bensì dalla lotta contro il terrorismo . Di fronte all’apparizione dei tribunali islamici la comunità internazionale opta per una posizione di attesa. L’Etiopia tuttavia teme che i fondamentalisti islamici possano influenzare negativamente i già delicati equilibri interni del paese, mentre l’Eritrea si è schierata con le Corti.

Da varie fonti risulta che in luglio truppe etiopi siano entrate sul suolo somalo giungendo a Baidoa, dove risiede il Parlamento somalo e il governo provvisorio dello stato africano.

Nel dicembre 2006 combattenti islamici e truppe governative si fronteggiano più volte nei pressi di Baidoa. Il Consiglio delle Corti Islamiche Somale lancia un ultimatum al governo di Addis Abeba, affinché 30.000 militari etiopi presenti nella zona lascino la Somalia immediatamente. Diversamente inizierà l’offensiva militare. Ma l’avanzata delle truppe governative, appoggiate dagli etiopici, proseguirà fino a Mogadiscio, in mano alle Corti islamiche, che avevano sotto controllo da mesi tutta la Somalia centro-meridionale, per giungere, nei primi giorni del 2007, a Kismayo, ultima roccaforte dell’Unione delle Corti.

Sembra per ora conclusa la guerra tra le Corti islamiche da una parte e l’Etiopia ed il governo transitorio dall’altra.

"I piccoli mostri crescono. Non bastava l'estremismo fatto in casa. Volendo agire alla grande, come si conviene a un ex impero, l'Etiopia ha mosso i carri armati e l'aviazione. Noblesse oblige. Dietro all'offensiva dell'esercito etiopico in territorio somalo, a sostegno del governo di transizione e contro il governo delle corti islamiche, ci sono la geopolitica e il retaggio della storia. Per non discriminare nessuno, anche i popoli e gli stati della periferia hanno diritto a veder riconosciuti i loro interessi "nazionali". Ma non è certo per caso che l'azione locale o regionale si iscriva così bene nella fattispecie globale che la contiene e la copre. Il capo del governo di Addis Abeba dice che appena finito il lavoro, quando i terroristi saranno stati sgominati e la minaccia contro la sicurezza sarà svanita, l'Etiopia non avrà altre rivendicazioni da soddisfare. Senza paura di essere sgradevole fino in fondo, Meles Zenawi sceglie le parole giuste per far capire a chi si ispira e intanto ricorda a Bush che si aspetta di essere ricompensato in forma debita.

Per tutto il periodo del bipolarismo, nelle vicende del Corno d'Africa, gli attori in loco si sono sempre imposti sulla grande politica. Le superpotenze sono state sfruttate per il servizio che potevano rendere alle cause nazionali. Da tempo l'Etiopia di Meles fremeva e il "buon esempio" delle aggressioni perpetrate qua e là per il mondo dagli Stati uniti senza suscitare vere reazioni all'Onu lo hanno incoraggiato a passare il Rubicone. L'Etiopia stava perdendo la battaglia di Mogadiscio. Il presidente Abdullahi Yusuf, che da capo semi-separatista della Migiurtinia, ribattezzata classicamente Puntland, era stato promosso nel 2004 a capo dello stato dopo un'estenuante trattativa interclanica, era fermo alla casella zero. Il suo governo, nato su pressione della comunità internazionale e dell'Igad, l'organizzazione regionale, non era in grado di farsi valere da solo ed era confinato a Baidoa, al confine con la stessa Etiopia. L'avanzata del fondamentalismo si è presentata come il casus belli tanto atteso. Alcuni ministri del governo teoricamente in carica avevano disertato collaborando con l'Unione delle corti islamiche, per convinzione o per convenienza, ma a questo punto era meglio che nessun tentativo di mediazione o di conciliazione, per quanto impervio, riuscisse. Il bravo Mario Raffaelli ha impiegato le arti di "facilitatore" per conto dell'Italia e dell'Europa ma era destinato a fallire. La stessa Europa non è neppure concorde. Una volta di più, l'Inghilterra si distingue perché invece di perseguire la mitica unità della Somalia, porta avanti la pratica che dovrà legittimare l'indipendenza del Somaliland, un ex protettorato stabilito a suo tempo per alimentare la base di Aden.

L'Etiopia sta combattendo tre partite in una. L'obiettivo principale è ovviamente assicurare una Somalia stabile e amica: il governo non deve essere troppo sbilanciato dalla parte dell'islamismo perché questa caratterizzazione può galvanizzare i somali che vivono nell'Ogaden, che è pur sempre una provincia dell'Etiopia, e più in generale i musulmani dell'Etiopia, che si sentono un po' sacrificati da un governo che rappresenta l'élite cristiana del piccolo Tigrai. È su questo tema che la politica dell'Etiopia si incontra con le ossessioni della war on terror cara al presidente delle Torri Gemelle. L'amministrazione americana si è convinta che la guerra globale non si vince senza creare un solido frangiflutti sulle rive meridionali del Sahara. Il Sudan e la Somalia sono i due fronti caldi e tutti gli alleati sono benvenuti, siano essi i governativi in Etiopia o i ribelli in Sudan. Un obiettivo secondario di Meles è di ritagliarsi una via al mare attraverso il Somaliland. Oltre che a Londra la parte settentrionale dell'ex Repubblica di Somalia ha validi padrini anche a Addis Abeba. Sullo sfondo, e questo è il terzo teatro, l'Etiopia è in guerra con l'Eritrea. Il presidente eritreo Isaias Afeworki ha commesso l'imperdonabile errore di sollevare un problema di frontiera, e forse di egemonia, con la guerra che è durata dal 1998 al 2000. Le armate etiopiche alla fine hanno soverchiato la piccola Eritrea, ma il responso della Commissione internazionale a cui era stato affidato il compito di pronunciarsi sul tracciato del confine ha dato ragione all'Eritrea sulla zona di Badme, che nel frattempo, assurdamente per la verità, è diventata una specie di simbolo dell'integrità nazionale etiopica. Se è possibile umiliare l'Eritrea, fiaccata per suo conto da un governo in piena deriva verso un dispotismo irresponsabile, la guerra vinta sul campo ma non al tavolo della diplomazia potrebbe avere una conclusione diversa. Si può capire perché con i miliziani delle corti islamiche potrebbero esserci soldati eritrei. Ormai il governo di Asmara - a costo di allearsi con gli islamici e di scontrarsi con Stati Uniti e Israele - combatte tutte le guerre che possono indebolire l'Etiopia e destabilizzare il Corno.

Le poste e i relativi schieramenti ammettono qualche contraddizione: è il prezzo pagato alla complessità dell'intero contesto. C'è un punto nero però che fa temere il peggio. Malgrado le possibili convergenze suggerite dalla tattica, l'Etiopia è considerata il "nemico" per eccellenza della Somalia. Un'occupazione etiopica della Somalia, anche se per interposta persona, può portare tutta la regione sull'orlo dell'abisso. Ma la globalizzazione, come noto, si cura dell'"ordine" non delle vittime. Per gli effetti collaterali, al più, ci sono le Ong e l'Onu". (intervento di Giampaolo Calchi Novati, Il Manifesto, 29-12-06).

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