Dalla fine degli anni '80 la parte settentrionale del paese è teatro di violenti conflitti armati tra forze governative e diversi gruppi di ribelli fra cui: il Fronte della Sponda Occidentale del Nilo (WNBF), le Forze Democratiche Alleate (ADF), il Fronte di Salvezza Nazionale e l'Esercito di Resistenza del Signore (LRA), che vuole instaurare un regime basato sul dogma cristiano dei dieci comandamenti. L'LRA, fondata da Joseph Kony di etnia Acholi, è la forza ribelle che terrorizza fin dal 1987 le province del nord dell'Uganda, abitate dagli Acholi, ai confini con il Sudan. Ed è proprio in Sudan che gli Olum ("erba" così vengono chiamati in lingua Acholi) hanno le loro basi e da lì partono molti dei loro attacchi. Ma ben presto da oppressi gli Olum si trasformano in oppressori iniziando ad uccidere e depredare la popolazione ed a rapirne i bambini per addestrarli come piccoli soldati. I metodi di addestramento sono brutali: i bambini, spesso drogati, sono costretti a mutilare ed uccidere con il machete, per non incorrere i punizioni gravissime o addirittura essere uccisi a loro volta. Gli obbiettivi dichiarati della LRA sono quelli di instaurare in Uganda un regime basato sull'applicazione letterale dei dieci comandamenti biblici. Kony stesso afferma di essere un profeta e di essere posseduto da uno spirito-guida divino.
Le principali basi della LRA sono nel sud del Sudan che per anni ha fornito ai ribelli armi e supporto logistico. Le motivazioni risiedono nei contrasti tra Sudan e Uganda, che a sua volta ha sempre finanziato i ribelli dello SPLA (Sudan People's Liberation Army) che da vent'anni lotta per il potere nel sud del Sudan.
Il conflitto del nord Uganda in questi anni ha reso impossibile la vita normale della gente: migliaia di bambini si spostano tutte le sere dai villaggi verso gli ospedali, le città, le missioni, o qualsiasi altro posto ritenuto sicuro, per sfuggire ai sequestri notturni. La maggior parte degli Acholi, una popolazione di un milione e mezzo di persone, ha abbandonato i villaggi e vive in campi per sfollati, gli IDP (internal displaced people) camps, in condizioni disumane.
Desideroso di conquistarsi credito e prestigio internazionali, il presidente Museveni (al potere dal 1986) si è impegnato a Nairobi negli sforzi per i colloqui di pace per la Somalia, come presidente della Inter-Governmental Authority on Development (Igad), l'autorità internazionale che sta tentando di portare i leader somali a sedersi ad un tavolo di trattativa per discutere la fine della guerra civile. Ha inoltre cogestito, con il Sudafricano Jacob Zuma, il processo di pace in Burundi che ha portato a termine il decennale conflitto tra i Tutsi e gli Hutu.
Ma i problemi che dovrebbe affrontare nel suo paese sono enormi: alle scorrerie degli uomini di Kony si aggiunge l'enorme problema umanitario legato alle centinaia di migliaia di profughi presenti in Uganda. Inoltre sono sul terreno la piaga dei bambini soldato e l'AIDS che affligge più di un milione di persone.
Nel marzo 2001 Museveni rivince le elezioni presidenziali e raggiunge un accordo con il Sudan per una comune azione contro l’LRA di Kony, che intensifica il rapimento di bambini. Nel 2003 l’Uganda ritira le truppe dal Congo, mentre continuano i massacri perpetrati dall’LRA. Nel 2005 viene eliminato dalla costituzione il limite di due mandati presidenziali; un referendum approva il ritorno alla democrazia multipartitica. La Corte criminale internazionale spicca un mandato di cattura contro cinque leaders dell’LRA mentre, in dicembre, Museveni rivela di voler rimanere in carica fino al 2012.
Perdura quindi la crisi umanitaria, "la più tragica di tutto il mondo" secondo l’Onu, nei quattro distretti acholi, dove 1.700.000 persone vivono da vent’anni in campi per sfollati, vittime del conflitto scatenato da Kony che sembra funzionale alla politica di vendetta di Museveni nei confronti del nord e alla "guerra esportata all’estero" (Congo e Sudan), in cerca di risorse naturali.
Nel marzo 2006 Museveni ottiene un altro mandato della durata di cinque anni, il terzo per lui, nelle prime elezioni presidenziali e parlamentari multipartitiche degli ultimi 26 anni. Lo sfidante principale, Kizza Besigye, leader del Forum per il cambiamento democratico, ottiene il 37% circa dei voti, gli altri candidati fra lo 0.6% e l’1.5%; il partito di Museveni conquista la maggioranza dei seggi parlamentari nella regione occidentale, mentre il partito di Besigye la maggior parte dei seggi al nord.
In maggio Joseph Kony, ricercato dall’ICC (International Criminal Court) per crimini di guerra, invia una richiesta per avviare dei colloqui di pace al Presidente Museveni.
Kony avrebbe dichiarato di aver ucciso delle persone nel sud del Sudan come rappresaglia per il sostegno dell’Uganda allo SPLA e chiede che gli sia concesso del tempo per rimanere in Sudan durante le negoziazioni con Museveni. La leadership dell’SPLM, ala politica del gruppo ribelle sud sudanese, si sarebbe offerta di mediare ai colloqui fra Governo e ribelli ugandesi.
In agosto entra in vigore l’accordo per la cessazione delle ostilità tra il governo di Kampala e i ribelli nord-ugandesi del Lord’s Resistance Army, firmato a Juba, capitale del Sud Sudan. Non si tratta ancora di un accordo definitivo, ma è un passo decisivo nella direzione della pace. Le parti accettano precisi meccanismi di raggruppamento dei combattenti e di verifica sotto la supervisione di una terza forza, l'esercito del Sud Sudan (SPLA), che garantirà sul terreno il funzionamento della tregua.
Per la prima volta da venti anni l'LRA accetta di dichiarare la posizione dei propri guerriglieri - molti dei quali sono bambini - e di raccoglierli in zone appositamente designate sotto la garanzia dell'esercito del Sud Sudan. In tali zone ai ribelli sarà garantito l'approvvigionamento di viveri per evitare che episodi di saccheggio mettano a rischio la tregua. Sarà consentito inoltre l'accesso delle agenzie umanitarie che potranno prendersi cura di donne e i bambini che accompagnano i combattenti nella foresta. Il governo di Kampala s'impegna a non attaccare l'LRA nelle zone designate e, fatto inedito rispetto ai precedenti tentativi di mediazione, accetta la presenza di un esercito straniero sul proprio territorio.
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